LA SINAGOGA, IMMAGINE DELLE NOSTRE CHIESE LOCALI: LUOGO DI CULTO "SABBATICO" E NON DI MERCATO
Il presente contributo nasce dalla constatazione che in alcune chiese locali il concetto di chiesa viene inteso purtroppo più come luogo di relazioni interpersonali di parte e di realizzazione dei propri interessi, che come luogo di pieno assoggettamento delle proprie volontà a quella di Dio.
Pertanto il culto viene vissuto più come soddisfacimento dei propri interessi personali e di parte che non come una vera e propria predisposizione a sottomettersi alla volontà di Dio.
Sulla base, quindi, di quanto è avvenuto nelle suddette chiese locali, colgo l'occasione, rifacendoci ad alcuni testi biblici e giudaici, per rilanciare il concetto della sinagoga che in sé racchiude immense ricchezze di ordine spirituale; ricchezze che sono al fondamento di un vero e proprio rinnovamento del nostro modo di vivere il culto "sabbatico" nelle nostre chiese cristiane.
1. Il ruolo della sinagoga nella tradizione giudaica
1.1. Origine e significato del termine sinagoga
Sebbene l'origine della sinagoga non possa essere datata con certezza1, generalmente si ritiene che essa nacque durante l'esilio babilonese dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, perché proprio in questo periodo gli ebrei non potendosi radunare più nel tempio perchè distrutto, si riunivano in abitazioni private per poter continuare il loro culto.2 Infatti fin dalle origini la sinagoga, proveniente dal termine ebraico bet ha-kenesset che significa casa dell'assemblea,3 era intesa essenzialmente come casa di preghiera, nella quale gli ebrei si riunivano per leggere le Scritture, ascoltarne le esortazioni e gli insegnamenti:
la sinagoga rispondeva così perfettamente alle esigenze della nuova comunità giudaica: devozione intransigente alla Legge, istruzione "legale" e preghiera comunitaria. In un primo tempo le riunioni sotto la grande guida del profeta Ezechiele non seguivano uno schema prestabilito, tuttavia, pur con più o meno improvvisazione, rispondevano al loro fine iniziale: una liturgia peculiare che consisteva in letture e spiegazioni della Legge, in salmi e preghiere recitati in comune.4
Anche il corrispettivo termine greco sinagoghé rispondeva a tale significato, in quanto indicava, in senso generale, un "raduno di persone",5 e per i LXX soprattutto designava una comunità "che si aduna per un'azione comune".6
Inizialmente quindi la sinagoga sorse solo per conservare il culto spirituale e renderlo più profondo tra i fedeli ebrei, bandendo il sacrificio come invece veniva fatto nel tempio. Man mano che gli ebrei si organizzavano, l'istituzione si sviluppava costantemente fino ad arrivare, nonostante la ricostruzione del tempio, alla edificazione di edifici adatti per queste assemblee di tipo religioso. Infatti fin dal III secolo a.C., esistevano delle vere e proprie sinagoghe che aumenteranno al tempo di Gesù. Esse avevano un regime interno ben strutturato e organizzato, dove ognuno aveva un suo specifico ruolo. In seguito nell'ebraismo rabbinico la sinagoga assunse anche la funzione di essere un luogo dove si studiava la Bibbia, i relativi commenti e gli scritti talmudici.
1.2. Elementi fondanti il culto sinagogale nei testi dell'A.T.
Numerosi sono i testi veterotestamentari dove compare il termine sunagwgh,7 ma a noi interessa cogliere gli elementi più significativi, per mezzo dei quali il popolo d'Israele professa la propria fede in Jahvé. I fedeli ebrei si riunivano nella sinagoga solo di sabato e nei giorni festivi per le loro funzioni religiose. Queste funzioni erano costituite da una professione di fede ebraica o Šema‘ (ascolta), la quale era recitata da tutta la comunità. Tale professione era costituita da tre testi biblici (Dt 6,4-9; 11,13-21; Nm 15,37-41). La comunità, recitando Dt 6,4-9, ricorda e al tempo stesso fa sue le parole di Mosé, il cui argomento principale è l'amore verso Dio:
"Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte".
Da questo comandamento del Signore, arrivato al popolo tramite il mediatore Mosé, possiamo scorgere la stretta connessione che sussite tra il dire, l'esprimere concretamente e il trasmettere questo comandamento dell'amore di generazione in generazione. Il comandamento dell'amore quindi non viene solo recitato, ma viene interiorizzato nel cuore di ogni credente e ricordato tramite il segno dei filatteri per ripeterlo ai figli. Questa circolarità tra il dire, il ricordare e il trasmettere il comandamento dell'amore sta alla base della liturgia sinagogale, in quanto la recita senza la trasmissione sarebbe cieca, e viceversa la trasmissione senza la recita sarebbe vuota.
Tramite il testo di Dt 11,13-21 il popolo di Israele viene avvertito che se obbedisce ai comandamenti del Signore, amandolo e servendolo con tutto il cuore e con tutta l'anima, egli stesso gli darebbe una grande ricompensa, in quanto gli favorirebbe il raccolto nei campi e provvederebbe per l'erba del suo bestiame, oltre a colmarne la fame. Inoltre il popolo viene ammonito a non lasciarsi sedurre nel cuore dal politeismo, perché se si mettesse ad adorare gli dei stranieri, Dio non manderebbe più la pioggia dal cielo, con la conseguenza che il suolo non darebbe più alcun frutto:
"Ora, se obbedirete diligentemente ai comandi che oggi vi do, amando il Signore, vostro Dio, e servendolo con tutto il cuore e con tutta l'anima, io darò alla vostra terra la pioggia al suo tempo: la pioggia d'autunno e la pioggia di primavera, perché tu possa raccogliere il tuo frumento, il tuo vino e il tuo olio. Darò anche erba al tuo campo per il tuo bestiame. Tu mangerai e ti sazierai. State in guardia perché il vostro cuore non si lasci sedurre e voi vi allontaniate, servendo dei stranieri e prostrandovi davanti a loro. Allora si accenderebbe contro di voi l'ira del Signore ed egli chiuderebbe il cielo, non vi sarebbe più pioggia, il suolo non darebbe più i suoi prodotti e voi perireste ben presto, scomparendo dalla buona terra che il Signore sta per darvi".
Nella liturgia sinagogale è vivo il desiderio di osservare i comandamenti del Signore e di servirlo, predisponendo il proprio cuore e la propria anima alla sua volontà, in modo che egli provveda per il suo popolo. Il popolo di Israele dunque si sottomette alla volontà del suo Dio per averne in cambio una prosperità materiale. Con la recita di Nm 15,37-41 il popolo di Israele ricorda i comandamenti di Dio, servendosi di frange ai lembi delle vesti, alla vista delle quali ciascun ebreo non distoglie il suo cuore e i suoi occhi dal servire Dio:
"Il Signore parlò a Mosé e disse: "Parla agli israeliti dicendo loro che si facciano, di generazione in generazione, una frangia ai lembi delle loro vesti e che mettano sulla frangia del lembo un cordone di porpora viola. Avrete tali frange e, quando le guarderete, vi ricorderete di tutti i comandi del Signore e li eseguirete; non andrete vagando dietro il vostro cuore e i vostri occhi, seguendo i quali vi prostituireste. Così vi ricorderete di tutti i miei comandi, li metterete in pratica e sarete santi per il vostro Dio".
Il signore, quindi, prescrive ad ogni ebreo di ricordare i comandamenti del Signore, servendosi di alcune frange poste agli angoli delle vesti, per metterli in pratica e divenirne santi. Pertanto nella recita in comune della grande confessione di Israele, ogni ebreo è tenuto a ricordarsi di osservare i comandamenti del Signore e di servirlo non solo con tutto il cuore, ma di metterli in pratica, in modo da diventare incarnazione terrena del culto sabbatico. Tale iniziale professione di fede era accompagnata da alcune benedizioni ed era seguita dalla lettura della Scrittura. Si dava grande importanza al Pentateuco, ma non erano escluse letture dai profeti. Ma quando alcuni brani tratti dal pentateuco o dai profeti non erano più compresi dal popolo nell'originale ebraico, venivano spiegati o in aramaico o in greco per farli comprendere dalla gente del luogo. Abbiamo infatti molti targumim, ovvero le versioni della bibbia ebraica in aramaico e la versione dei LXX. Ciò ci attesta che fin dalla più remota antichità la bibbia veniva spiegata nelle sinagoghe al popolo nel suo linguaggio corrente.8 Alla fine della liturgia sinagogale veniva recitata dal popolo, in mancanza del sacerdote, una nuova preghiera oppure, in presenza di un sacerdote, una benedizione che Dio aveva ordinato ai figli di Aronne: "Il Signore parlò a Mosé e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: "Così benedirete gli israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace." Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».9
1.3. Il culto sinagogale per i maestri ebrei
Rifacendoci alle esigue testimonianze rabbiniche sulla sinagoga nel periodo della diaspora romana anteriormente al 70,10 si può vedere come nella sinagoga momento centrale è la partecipazione degli adunati alla lettura del rotolo della Torah, i quali quando qualcuno leggeva un brano della Torah agitavano i drappi e rispondevano amen. Questa partecipazione era avvalorata dal fatto che tutti insieme, senza nessuno escluso dei presenti, agitava il drappo e rispondeva amen. Nella sinagoga ognuno sedeva per conto proprio e ordinatamente, in modo tale che chi entrava poteva far parte di quella sola categoria di persone che facevano il suo stesso lavoro, in modo da guadagnarsi da vivere:
"Quando qualcuno prendeva il rotolo della torah per leggere, agitava i drappi ed essi (coloro che erano adunati) rispondevano 'Amen' per ogni benedizione; quindi agitava nuovamente i drappi e risponedvano nuovamente 'Amen'. E non si sedevano disordinatamente, ma gli orafi si sedevano per conto proprio, i fabbri per conto proprio. E perché così tanto (perchè questa rigida suddivisione)? Così che se giunge un visitatore, possa immediatamente entrare in contatto con il proprio lavoro, e quindi essere in grado di guadagnarsi da vivere".11
A tal proposito abbiamo anche la testimonianza del giudeo-alessandrino Filone, il quale attesta che esistevano vere e proprie case di preghiera, dove i giudei si riunivano nel settimo giorno per istruirsi nelle leggi e nella filosofia dei Padri: "Avevano case di preghiera e vi si riunivano, soprattutto nel sacro settimo giorno, quando vengono istruiti in comune nella filosofia dei padri (...) per essere istruiti nelle leggi".12 Sempre Filone nel De Vita Mosis afferma che i giudei si riunivano in giorno di sabato per studiare la Torah: "Da allora fino ad oggi i giudei si incontrano nel settimo giorno per studiare la Torah dei loro Padri".13 In un'altra opera Filone dichiara che i giudei si riunivano nelle sinagoghe tutti i sabati per ascoltare la lettura della Torah: "Incontrarsi in un luogo tutti i sabati sedendo insieme nella santità del posto (...) ascoltando la lettura della Torah".14
Inoltre nel De vita contemplativa afferma che i terapeuti solo nel settimo giorno si riuniscono in sinagoga, dove ascoltano le parole sapienti degli anziani della comunità, ai quali è affidato il governo della sinagoga: "solo nel settimo giorno si riuniscono insieme nel luogo sacro comune (la sinagoga) dove l'anziano pronuncia loro parole di sapienza".15
Nell'epoca tannaitica la sinagoga era il luogo dove si leggeva la Torah. Infatti nella Tosefta Megillah 3,7 viene affermato che «Non bisogna comportarsi in maniera frivola dentro la sinagoga. Non si deve entrare in essa per ripararsi dal caldo, dal freddo o dalla pioggia. Non si mangia, non si beve e non si dorme in essa, non ci si adorna. Ma in essa si legge la Torah, si studia, si predica e si loda».
2. Il ruolo della sinagoga nella tradizione neotestamentaria
2.1. Gli insegnamenti di Gesù
Gesù, rispettando le regole del servizio sinagogale, entra in essa in giorno di sabato e si alza a leggere il passo di Is 61,1-2, dopo aver aperto il rotolo del profeta Isaia (Lc 4,16-19). Gesù, appropriandosi tale passo profetico (Lc 4,21), fa intuire che oggi, cioè proprio di sabato e nella sinagoga di Nazareth, ha origine un nuovo culto sabbatico, perché egli è l'incarnazione di tale culto, in quanto unto dal Padre. A motivo di questa unzione Dio lo ha inviato per portare questo lieto annunzio in sinagoga proprio in giorno di sabato. Ciò vuol dire che Gesù, per volontà di Dio, ha realizzato pienamente in sé questa suprema forma di atto cultuale davanti a quanti sedevano in sinagoga, per cui di sabato Gesù ha adempiuto il comandamento del riposo del settimo giorno; conseguentemente quanti erano presenti in sinagoga sono stati resi partecipi di questo culto. La singoga assume qui la funzione di testimone della nascita di questo nuovo culto sabbatico. In essa infatti Gesù riposa in quanto egli è in comunione stretta con il Padre (lo spirito del Signore è su di me); egli quindi adempie il culto sabbatico ed egli è la massima espressione di questo compimento sia in senso verticale che orizzontale, all'interno sempre della sinagoga. In senso verticale perché egli, in quanto inviato dal Padre, realizza la sua missione nel rendersi partecipe al Padre, nel donarsi totalmente al Padre, in quanto il suo spirito è in stretta sintonia con quello del Padre. In poche parole egli in sinagoga annunzia quello che il Padre gli dice, perché il suo spirito è volto unicamente a proclamare di fronte all'assemblea ciò che il Padre gli ispira. A motivo di questa unione o simbiosi spirituale che intercorre tra il Padre e il Figlio nella sinagoga proprio in giorno di sabato, il Figlio realizza il sabato protologico, perchè nella sinagoga egli rivive la piena unità di intenti che egli ha vissuto con il Padre prima che il mondo venisse creato. Pertanto nella sinagoga egli, proclamando il passo profetico di Isaia, rivive puntualmente la dimensione verticale del culto sabbatico. Egli così, tributando con fedeltà spirituale al Padre tale culto, realizza nel giorno di sabato l'immagine archetipa del sabato protologico. In tal senso la sinagoga non è solo la testimone dell'origine di questo nuovo culto sabbatico, ma anche il luogo di vita di questo culto, perchè, come abbiamo visto, in essa il Figlio rivive la dimensione cultuale del sabato protologico.
In senso orizzontale perché egli compie fattivamente questo suo ufficio messianico nel portare ai poveri il lieto annunzio, nel proclamare ai prigionieri la liberazione, nel rimettere in libertà gli oppressi, proprio nella sinagoga. La sinagoga diviene perciò segno tangibile e concreto di questa sua ferma volontà di esternare al mondo e quindi tra i fedeli che erano presenti in sinagoga l'eterno messaggio di libertà e di amore che egli insieme al Padre consumava fin dall'eternità nel sabato protologico. Un esempio di questa realizzazione della dimensione orizzontale del culto sabbatico lo vediamo in Lc 4,33, quando Gesù proprio in sinagoga guarisce e cioè libera da uno spirito immondo un uomo. La sinagoga quindi viene ad essere un luogo di liberazione da ogni male, in quanto è il luogo in cui si realizza pienamente questa dimensione orizzonale del nuovo culto sabbatico. Sempre in sinagoga Gesù guarisce un uomo che aveva la mano destra paralizzata (Lc 6,6)16, anteponendo la salvezza al precetto sabbatico che, secondo la casistica ebraica, vietava di guarire qualcuno in giorno di sabato. Realizzando proprio in giorno di sabato il sabato protologico e anteponendo la salvezza sul precetto sabbatico, Gesù riporta la sinagoga ad essere un luogo di salvezza, a motivo della quale è stata istituita e non un luogo di perdizione. Sotto questo profilo nella sinagoga risplende la pienezza della dimensione orizzontale del culto sabbatico; pienezza che Gesù ha potuto imprimere in essa grazie a quanto ha vissuto fin dall'eternità nel sabato protologico. Questo eterno culto sabbatico che il Figlio tributava al Padre prima della creazione del mondo, il Figlio lo realizza nella prassi e cioé nella sinagoga, quando caccia i venditori dal tempio, in quanto per lui la sinagoga è anche casa di preghiera, oltre che di insegnamento (Lc 19,45-46). Cacciando i venditori dal tempio, Gesù non solo ripristina il culto spirituale nella sinagoga, ma lo porta a compimento, in quanto la sinagoga non è solo casa di preghiera, ma diviene anche casa del sabato soteriologico, cioè del nuovo tempo di salvezza che Cristo ha inaugurato con la sua venuta nella carne. Sotto questo profilo essa è immagine terrena del sabato protologico. Quindi le due dimensioni, quella orizzontale e quella verticale di questo nuovo culto sabbatico si fondono nella sinagoga, in quanto essa è immagine terrena del sabato proto-soteriologico.
2.2. Il nuovo culto "sabbatico" nella sinagoga, immagine delle nostre chiese locali
Rifacendoci al testo di Lc 4,16 emerge, in consonanza con alcuni testi giudaici, che quando Gesù legge il passo di Is 61,1-2 "gli occhi di tutti erano fissi su di lui". Ciò attesta che gli ebrei nella sinagoga ascoltavano attentamente le parole di Gesù, e non erano immersi nelle loro preoccupazioni mondane o nei propri interessi. A tal proposito Luca vuole indicarci che i fedeli si recavano nella sinagoga non per parlare delle loro cose o per far prevalere le proprie volontà, ma unicamente allo scopo di parteciparvi attivamente. Sull'esempio dei fedeli ebrei che nella sinagoga seguivano attentamente quanto Gesù insegnava loro, anche i fedeli cristiani nelle nostre chiese dovrebbero tenere gli occhi fissi su Gesù di Nazareth che è presente durante la celebrazione liturgica, senza distogliere lo sguardo da lui, in modo da non far prevalere i loro meschini interessi di parte. Il fedele cristiano se tenesse gli occhi fissi su Gesù di Nazareth, diventerebbe in senso verticale immagine vivente del sabato protologico, e, in senso orizzontale, immagine vivente di quello soteriologico. Quindi l'unica sua preoccupazione sarebbe solo quella di tributare a Dio un nuovo culto sabbatico che si realizza in senso verticale nell'amare interiormente Dio sopra ogni cosa, sull'esempio di Cristo che si è donato al Padre e viceversa fin dall'eternità nel sabato protologico, e, in senso orizzontale, nel compiere fattivamente le opere di carità e di amore verso il prossimo, sull'esempio di Cristo che nel sabato soteriologico ha sopportato i peccati degli uomini per redimerli e per condurli alla salvezza eterna. E' cattivo costume, soprattutto in quelle due chiese locali che abbiamo citato fin dall'inizio, il chiacchierare, il dire parolacce e il distrarsi continuamente durante la messa sia da parte dei bambini17 che dei grandi, facendo prevalere i propri interessi e le proprie aspettative. Rifacendoci alla guarigione dell'indemoniato da parte di Gesù, possiamo capire che Gesù prediligeva il silenzio alle chiacchiere. Infatti all'indemoniato che urlava, Gesù gli ha ordinato di tacere. Pertanto è opportuno prendere come modello di riferimento per la crescita spirituale nelle nostre chiese locali la sinagoga, nella quale Gesù ci ha imparato che solo attaverso il silenzio è possibile rendere un culto gradito a Dio, come gli ebrei lo facevano in giorno di sabato. Quindi, similmente nelle nostre chiese locali, alla pari della sinagoga, ciò che conta è la ferma predisposizione di ognuno ad aprire il proprio cuore a Dio, e questa forma di culto sabbatico in senso verticale si realizza nel silenzio, dove la propria anima è sola con Dio, in quanto il dialogo con Dio avviene in senso interiore. Anche in senso orizzontale Gesù predilige la categoria del silenzio, perché le opere di carità prevalgono sulle parole, le quali attestano che veramente il fedele diviene immagine vivente del sabato soteriologico. Quindi le nostre chiese locali, essendo immagini viventi della sinagoga, sono luoghi di salvezza fisica e spirituale e non luogo di maldicenze, di pettegolezze e di frivolezze. Sulla base di ciò ogni fedele è tenuto dunque a realizzare nelle nostre chiese locali questo nuovo culto sabbatico sia in senso verticale che orizzontale, facendo sì che egli divenga, a livello interiore, copia vivente dell'intima relazione e della mutua donazione che sussisteva nel sabato protologico tra Padre e Figlio prima che il mondo fosse creato e, a livello esteriore, copia vivente della prassi salvifica e della sofferenza riscattatrice di Cristo verso i suoi simili, vissuta nel sabato soteriologico. Le nostre chiese locali quindi, quali immagini della sinagoga, sono considerate luoghi di preghiera e non di mercato, perché in essa il fedele pregando, ascoltando, imparando e commemorando la Parola di Dio, rende un culto spirituale gradito a Dio per mezzo del Figlio e, sull'esempio del Figlio, rivive quasi in pienezza il sabato proto-soteriologico.
1 Cfr. L.I. LEVINE, La sinagoga antica. Lo sviluppo storico, vol. 1, Brescia 2005, pp. 37-39.
2 Cfr. Per l'argomento L.I. RABINOWITZ, Synagogue, Origins and History, in Aa.Vv., Encyclopaedia judaica, vol. 15, Jerusalem 1971, col. 580; M. REVUELTA, Sinagoga, in Enciclopedia della Bibbia, vol. 6, Torino 1971, col. 492; Sinagoga in J.L. MCKENZIE, Dizionario biblico, Assisi 1973, col. 927; Sinagoga in L. MONLOUBOU - F.M. DU BUIT, Dizionario Biblico Storico/Critico, Roma 1987, col. 937; A. J. SALDARINI, Sinagoga, in P.J. ACHTEMEIER-P. CAPELLI, Il Dizionario della Bibbia, Bologna 2003, col. 796.
3 Cfr. Sinagoga, in L. MONLOUBOU-F.M. DU BUIT, Dizionario Biblico Storico/Critico, col. 937. Cfr. anche C.G. MONTEFIORE - H. LOEWE, A Rabbinic Anthology, New York 1974, pp. 18-19.118-121.160-161.186-187.194-195. 274-275.282-283.292-293.326-327.334-335.342-347. 380-381.424-425. 480-483. 486-487. 510-511.518-519. 576-577. 718-737.
4 M. REVUELTA, Sinagoga, in Enciclopedia della Bibbia, vol. 6, Torino 1971, col. 493.
5 Cfr. W. SCHRAGE, Sunagwgh, in G. KITTEL-G. FRIEDRICH, Grande Lessico del Nuovo Testamento, vol. 13, Brescia 1981, col. 10.
6 Cfr. W. SCHRAGE, Sunagwgh, in G. KITTEL-G. FRIEDRICH, Grande Lessico del Nuovo Testamento, vol. 13, Brescia 1981, col. 22.
7 Cfr. In particolare E. HATCH – H. A. REDPATH, Concordance to the Septuagint and the other greek versions of the old tstament, vol. 2, Oxford 1897, col. 1309-1310. Cfr. Anche M. BECHIS, Repertorium biblicum seu totius sacrae scripturae concordantiae, vol. 2, Torino 1899, col. 903-904.
8 Cfr. A. J. SALDARINI, Sinagoga, in P.J. ACHTEMEIER-P. CAPELLI, Il Dizionario della Bibbia, col. 797; M. REVUELTA, Sinagoga, in Enciclopedia della Bibbia, vol. 6, col. 494.
9 Num 6,22-26.
10 Cfr. L.I. LEVINE, La sinagoga antica. Lo sviluppo storico, vol. 1, p. 104.
11 TSukkah 4,6 (273). Per la traduzione vedi L.I. LEVINE, La sinagoga antica. Lo sviluppo storico, vol. 1, p. 104.
12 FILONE, Legatio ad Gaium 23,155-157. Ed. crit. E. M. SMALLWOOD, Philonis Alexandrini. Legatio ad Gaium, Leiden 1961, pp. 93-94. Trad. di L.I. LEVINE, La sinagoga antica. Lo sviluppo storico, vol. 1, p. 119.
13 FILONE, De vita Mosis II,215-216. Ed. crit. R. ARNALDEZ - C. MONDÉSERT - J. POUILLOUX - P. SAVINEL, Philon d'Alexandrie. De vita Mosis, Paris 1967, pp. 286-288.
14 Hypothetica in EUSEBIO, Praeparatio evangelica 8,12,10. Ed. crit. G. SCHROEDER – E. DES PLACES, Eusèbe de Césarée. La préparation évangélique, vol. 6, Paris 1991, p. 132.
15 FILONE, De vita contemplativa 30-31. Ed. crit. F. DAUMAS – P. MIQUEL, Philon d'Alexandrie. De vita contemplativa, Paris 1963, pp. 98-100.
16Cfr. anche Lc 13,10 e 19,45.
17 Per quanto riguarda i bambini i maestri ebrei ritenevano che essi, fin dalla più tenera età, dovevano essere presenti nel tempio e incominciare a studiare la Scrittura. Cfr. E. SCHÜRER, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo, vol. 2, Brescia 1987, pp. 507-508. Cosa che non succede nelle nostre due chiese locali succitate.