EVENU SHALOM ALEHEM (SIA LA PACE CON NOI): QUAL È IL SUO SENSO PIù RECONDITO?
Basato su una canzone popolare ebraica, il titolo del presente contributo riprende le parole di
un canto liturgico tuttora attuale; parole che, come è noto, i primi cristiani rivolgevano sotto forma
di saluto. Questo ritornello, che è in uso nelle nostre chiese e accompagna molto spesso le
celebrazioni liturgiche, viene tuttora cantato nelle nostre chiese, a differenza degli altri,
nell'originale ebraico e questo ci porta a riflettere maggiormente sul significato del termine shalom
e quale sia il senso più profondo che il termine conserva al suo interno. Proprio perché lo shalom è
un tema di grande attualità, al quale tutti – indipendentemente dalla razza o dalla religione –
anelano, cercheremo di spiegarne il senso "nascosto", al quale il termine fa riferimento.
Originariamente quindi il termine shalom ha il significato di integrità e di benessere
materiale, con una forte accentuazione dell'aspetto materiale (Gdc 8,9; 19,20; 1Sam 16,5). Tale
prosperità materiale e quindi anche la salute fisica è appannaggio esclusivo dell'uomo che vive in
modo equilibrato ed ordinato sia esternamente che internamente. Ambedue queste condizioni sono
determinate da uno stile di vita sano e non corrotto da parte dell'uomo, raggiungendo così la
perfezione e la compiutezza fisica, materiale e collettiva (2Re 9,22; 1Re 5,4ss).
Ma alla base di una vita prospera, ordinata ed equilibrata, sta il giusto rapporto di amicizia
che l'ebreo instaura con Dio e con gli uomini; per questo shalom esprime anche un significato
sociale, nel senso che suppone e include la relazione con gli uomini e quindi con Dio (Gdc 18,6;
1Sam 20,13.
Sotto questo profilo l'ebreo vive la pace, caratterizzata dalla condizione di benessere fisico e
spirituale, dalla sicurezza e dal giusto ordinamento giuridico di una comunità sia nei rapporti con le
altre tribù, che all'interno di se stessa (1Sam 7,14;1Re 5,4; Dt 20,10ss). È questa forma di pace che
viene espressa nella formula di saluto "la pace sia con te" (Gdc 19,20; 2Re 4,23; 2 Sam 18,28),
diventata oramai non solo nell'A.T., ma anche nell'uso attuale, il saluto per eccellenza. Dal
significato concreto che il termine ebraico di pace racchiude in sé, possiamo dedurne che anche
oggi tale significato viene ripresentato nelle nostre chiese, per cui chi vive lo shalom è colui che
vive in pace con se stesso e con gli altri.
Rifacendoci ad alcuni testi antico e neotestamentari tale pace è possibile realizzarla e viverla
attraverso i seguenti motivi biblici:
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- La speranza. Essa gioca un ruolo chiave nel mantenere le membra del corpo in armonia tra di loro,
in quanto la realizzazione di un proprio e singolare - diciamo singolare perché ognuno lo può
realizzare nei modi e nei tempi che egli stesso sceglie - progetto di vita è per ognuno di noi motivo
di pace. Chi persegue un progetto di vita e gradualmente lo realizza vive in pace con se stesso e con
gli altri, in quanto ha reso concreto tale progetto che da tempo perseguiva. Quindi la meta ideale,
divenuta reale, è la base su cui ognuno di noi costruisce la pace con se stesso e con il prossimo. In
tal senso la speranza di realizzare un proprio e specifico progetto di vita personale diviene per molti
la piattaforma o meglio le fondamenta su cui poggiano le colonne della propria pace, perché grazie
alla speranza egli intesse buoni rapporti sia con se stesso che con il proprio simile. Questo progetto
di vita che il cristiano intende realizzare risiede sia direttamente che indirettamente nella fiducia di
poterlo realizzare, e tale fiducia, che la dà il Cristo risorto, nel quale tutte le speranze sono
realizzate, ci riempie di gioia e di pace (Rm 15,13).
- il pentimento. Oltre alla speranza concorre al raggiungimento della pace il pentimento, perché
colui che si pente dei propri peccati si riappacifica con il suo prossimo: “Correggetevi l'un l'altro
non nell'ira, ma nella pace, come leggete nel vangelo, e a chi manca contro l'altro nessuno parli né
venga da voi ascoltato sino a quando non abbia mostrato il suo pentimento” (Didaché 15,3). Sulla
falsariga di Mt 5,22-26 e 18,15-35 il didachista vuole affermare che chi conduce il suo simile sulla
via della salvezza è in pace con se stesso perché ha salvato il proprio fratello come se stesso. È
anche in pace con se stesso colui che ha fatto di tutto perché suo fratello non abbia qualcosa contro
di lui. La riconciliazione, che avviene dopo il pentimento, è dunque un'altra base su cui è possibile
costruire la pace con se stesso e con il proprio simile. Colui che si riconcilia fattivamente con il
fratello è colui che vive la pace profonda; pace che scaturisce solo da un cuore volto interamente a
seguire gli insegnamenti di Dio.
- la meditazione. L'uomo, sviato dal peccato, riconquista la pace del cuore meditando le parole di
Gesù, grazie alle sue lividure e contemplando il volto di Dio. L'uomo corretto da Dio con un santo
rimprovero vive in pace con se e con gli altri.
- La concordia. La pace viene avvertita anche come sinonimo di concordia con tutto il creato e con
gli altri simili; immagine riflessa della pace del creatore nel settimo giorno. Dio contempla ciò che
ha creato, perché tutto era retto dalla armonia e dalla concordia. Alla stessa stregua del creatore noi
godiamo la stessa pace che Dio assaporò all'inizio della creazione, in quanto noi siamo stati creati
ad immagine e somiglianza di Dio per esercitare al sicuro la sovranità data da te. Tu, Signore, re
celeste dei secoli concedi ai figli degli uomini gloria, onore e potere sulle cose della terra. Signore,
porta a buon fine il loro volere secondo ciò che è buono e gradito alla tua presenza per esercitare
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con pietà nella pace e nella dolcezza il potere che tu hai loro dato. Frutto della concordia è non solo
il dimenticare le offese ricevute, abbandonando la cattiveria e facendo il bene – e conseguentemente
chi fa questo vive nell'amore e nella pace - ma anche il riconciliare i contendenti tra di loro.
Pertanto chi ama l'altro e lo tratta come se stesso vive in pace in quanto è unito all'altro e i
due formano una sola cosa. Il Signore gioisce quando vede colui che coltiva la pace nel cuore, e a
coloro che amano la pace il Signore pone nel cuore la propria dimora, mentre invece i calunniatori
non hanno pace in se. La preghiera e la carità portano alla pace e quindi alla serenità.
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