A proposito di Dialogo 81,2: generazione "sabbatica" nel settimo millennio?
Giustino in 81,2 afferma, riprendendo la citazione di Is 65,23, che “i miei eletti non faticheranno invano, né genereranno per la maledizione, perché saranno stirpe giusta e benedetta dal Signore, e con essi la loro discendenza”.1 Questa espressione “generare per la maledizione” può dare adito alle seguenti interpretazioni:
1) La parola “maledizione” nel linguaggio veterotestamentario implica la condizione dell'allontanamento da Dio. Un esempio significativo è la maledizione di Caino (Gen 4,11), - come quella di altri personaggi biblici2 - al quale la maledizione impedisce di vivere in sintonia non solo con Dio ma anche col suolo, dal quale egli traeva i frutti per il suo sostentamento. Caino, benché maledetto da Dio insieme alla sua discendenza, genera materialmente, - in quanto il suo spirito è volto, in maniera precipua, ad interessarsi delle cose temporali e non delle cose di Dio, - mentre Abele, il fratello ucciso da Caino, no. Egli non genera secondo la carne, perché è stato ucciso dal fratello, ma continua a generare nello spirito, alla stessa stregua dell'ebreo in giorno di sabato, coloro che lo imitano, in quanto modello visibile della sua unione spirituale profonda con Dio. Infatti nella lettera agli Ebrei 11,4 Abele è annoverato tra coloro che furono graditi a Dio a motivo della sua fede e, proprio a motivo di questa, egli, sebbene sia morto, resta tuttora un'eccelsa figura di uomo di fede profonda e feconda, capace di generare ancora oggi uomini valorosi nella fede e propagatori di spiritualità sabbatica.
2) In ordine al concetto di “generazione” occorre affermare che la discendenza di Caino non si sia prodotta secondo il beneplacito del Signore, ossia non sia avvenuta per onorare Dio, - e quindi per sottomettere la propria volontà a quella divina in modo da realizzare la volontà di Dio, come fa ogni ebreo nel giorno di sabato, - ma semplicemente per dare vita, dal punto di vista carnale, ad una vera e propria discendenza. Al riguardo sempre del termine generazione Ignazio, nella sua Lettera a Policarpo, spiega che le nozze e, conseguentemente, la generazione dei figli debbano avvenire secondo il Signore e non secondo la concupiscenza.3 Si tratta qui più di un'ammonizione che di una realtà fattuale: egli esorta che la generazione materiale sia compiuta secondo la volontà del Signore e non semplicemente per procreare, includendo nella procreazione un certo appagamento dell'istinto sessuale.
In relazione a questa riflessione è possibile dedurre che col termine “generare”, Giustino voglia indicare che i santi nel millennio venturo generano per diffondere la spiritualità sabbatica, ovvero per onorare Dio, ossia per compiere unicamente la sua volontà, e quindi non propagano una generazione materiale, ma "sabbatica", dove l'elemento vincolante non è unicamente il produrre figli carnali, ma il produrre figli che adempiano la volontà di Dio. E una tale generazione può avvenire solo in senso spirituale, non carnale, perché nella realtà concreta e quotidiana, invece, la generazione materiale, all'interno della vita di coppia, avviene principalmente per assicurarsi una vera e propria progenie, per i propri tornaconti di tipo patrimoniale, sociale, e così via dicendo, relegando così la generazione "sabbatica" a semplice elemente secondario.
Giustino, posponendo la parola maledizione alla generazione, fa intuire a Trifone che chi è “generato per la maledizione” è colui che è generato lontano da Dio, nel senso che non vive spiritualmente unito al Padre, sebbene viva nella carne. Egli invece di liberare energie spirituali come in giorno di sabato, per onorare Dio, libera energie che aumentano i piaceri della carne. Collegandoci, pertanto, con l'episodio di Caino e Abele, narrato in Gen 4,1-16, possiamo affermare che se Giustino dice che i santi non genereranno per la maledizione; ciò significa che, come Abele, i santi non generano in senso materiale perché sono uniti spiritualmente a Cristo e quindi vivono pienamente la spiritualità sabbatica. Quindi Giustino mostra a Trifone che nel regno millenario i santi che vivono con Cristo non “genereranno per la maledizione” perché sono coloro che si prodigano non solo a vivere per se stessi in unione spirituale con Cristo ma sono di esempio a coloro che vogliono intraprendere la strada della salvezza; cosicché coloro che imitano i santi nel regno millenario ne divengono a loro volta discendenti “spirituali” perché in loro si riflette la dimensione trascendente del nuovo culto sabbatico, ovvero di quel culto vitale gradito a Dio che ogni ebreo vive in giorno di sabato. Giustino, pertanto, si pone in diretta sintonia con la concezione lucana della risurrezione della carne (Lc 24,39). In relazione a tale episodio Ignazio di Antiochia spiega agli Smirnesi che Cristo apparve con un corpo di carne, ma spiritualmente unito al Padre:
“Sono convinto e credo che dopo la risurrezione egli era nella carne. 2. Quando andò da quelli che erano intorno a Pietro disse: “Prendete, toccatemi e vedete che non sono un demone senza corpo” (Lc 24,39). E subito lo toccarono e credettero, al contatto della sua carne e del suo sangue. Per questo disprezzarono la morte e ne furono superiori. 3. Dopo la risurrezione mangiò e bevve con loro come nella carne, sebbene spiritualmente unito al Padre”.4
Sulla base di tutto quanto abbiamo detto è opinabile concludere che per Giustino la generazione dei santi nel regno materiale non sia riferita tanto a quella materiale, ma a quella "sabbatica", dal momento che i santi che vivono nel regno materiale, benché vivano in un corpo, sono i discendenti spirituali di Cristo perché a Lui sono uniti profondamente in senso sabbatico più che in quello materiale.
1 Ed. crit. M. MARCOVICH, Iustini martyris. Dialogus cum Tryphone, Berlin-New-York 1997, pp. 210-211. Trad. di G. VISONÀ, Il Dialogo con Trifone, p. 264.
2 Per la maledizione nella Bibbia vedi G. GIRARDET, Maledizione, in G. MIEGGE (a cura di), Dizionario biblico, Torino 1984, col. 371-372.
3 IGNAZIO, Lettera a Policarpo 5,2. Ed. crit. F.X. FUNK-K. BIHLMEYER-M. WHITTAKER, Die Apostolischen Väter, Tübingen 1992, p. 238.
4 IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Lettera agli Smirnesi 3,1-3. Ed. crit. F.X FUNK-K. BIHKMEYER-M. WHITTAKER, Die Apostolischen Väter, Tübingen 1992, p. 226. Trad. di A. QUACQUARELLI, I Padri Apostolici, Roma 1998, p. 134.